XVI Rapporto nazionale Cittadinanzattiva sulle politiche della cronicità

XVI Rapporto nazionale Cittadinanzattiva sulle politiche della cronicità

Lo scorso 29 maggio abbiamo partecipato alla presentazione del XVI Rapporto di Cittadinanzattiva sulle politiche della cronicità, con la presenza di 50 associazioni di pazienti con patologie croniche (52%) e rare (48%), con l'obiettivo di verificare quanto il Piano nazionale delle cronicità, varato di recente, sia ad oggi rispettato nelle sue diverse fasi. Dal Rapporto è emerso che, nonostante le riforme, atti governativi e provvedimenti, la maggior parte delle persone con patologie croniche e rare ancora non vede grandi risultati e non si sente al centro del percorso di cura. Oltre il 70% vorrebbe che si tenessero in maggiore considerazione le difficoltà economiche e il disagio psicologico connessi alla patologia. Chiedono cure più umane, attraverso ad esempio un maggior ascolto da parte del personale sanitario (80,5%), liste d'attese meno lunghe (75,6%), aiuto alla famiglia nella gestione della patologia (70,7%) e meno burocrazia (68,2%).

L'emanazione dei nuovi LEA, per oltre il 55%, non ha prodotto cambiamenti rilevanti per la propria patologia, perché, in oltre un quarto dei casi (26,2%), di fatto non è stato attuato quanto previsto dalla legge.

Purtroppo il recepimento sia del Piano nazionale Cronicità, approvato ormai 20 mesi fa, nonché dei nuovi LEA, in vigore da 14 mesi, procedono a rilento e a macchia di leopardo: ad oggi solo Umbria, Puglia, Lazio, Emilia Romagna e Marche lo hanno recepito formalmente, mentre il Piemonte ha l'iter di recepimento ancora in corso. I nuovi LEA, che riconoscono nuovi diritti per i cittadini, per una buona parte invece sono ancora totalmente bloccati dalla mancata emanazione dei due decreti per la definizione delle tariffe massime delle prestazioni ambulatoriali e quello dei dispositivi protesici.

Nello specifico, in tema di assistenza ospedaliera, la metà denuncia lunghe liste di attesa per essere ricoverato, la distanza dal luogo di cura, la mancata predisposizione della dimissione protetta. Sul territorio, le carenze sono evidenti: al primo posto i tempi di attesa, segnalati dal 90%, per accedere alle strutture riabilitative, alle lungodegenze o RSA, alle strutture semiresidenziali.

Nel caso delle RSA e lungodegenze, si segnala la mancanza di équipe multi professionali (55%), i costi eccessivi per la retta (50%), la necessità di pagare una persona per assistere il malato (45%). Nei centri diurni per attività terapeutico-riabilitative, spesso la riabilitazione è a totale carico del cittadino (44,4%) ed i tempi di permanenza sono troppo brevi per raggiungere il grado di riabilitazione necessario (44,4%).

Non va meglio per l'assistenza domiciliare: in questo caso, infatti, il numero di ore di assistenza erogate risulta insufficiente (61,9%), manca l'assistenza psicologica e quella di tipo sociale (57,1%) ed è di difficile attivazione e spesso viene negata (52,3%).


Per un'analisi più dettagliata anche al livello regionale qui di seguito il testo del Rapporto.

31/05/2018

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