52° Rapporto Censis, italiani sfiduciati e incattiviti

52° Rapporto Censis, italiani sfiduciati e incattiviti

Il Censis ha pubblicato il 52° Rapporto sulla situazione sociale del Paese. Quello che emerge in maniera lampante dalla lettura del Rapporto è il clima di incertezza e di ambiguità diffuso nel nostro Paese. Sono tante le criticità: lo squilibrio dei processi d'inclusione dovuto alla contraddittoria gestione dei flussi migratori; l'insicura assistenza alle persone non autosufficienti, interamente scaricata sulle famiglie e sul volontariato; l'incapacità di sostenere politiche di contrasto alla denatalità; la faticosa gestione della formazione scolastica e universitaria; il cedimento della macchina burocratica e della digitalizzazione dell'azione amministrativa; la scarsità degli investimenti in nuove infrastrutture e nella manutenzione di quelle esistenti; il ritardo nella messa in sicurezza del territorio o nella ricostruzione dopo le devastazioni per alluvioni, frane e terremoti.

Il sistema sociale, attraversato da tensioni, paure e rancore, guarda al sovranismo autoritario e chiede stabilità. Il 75% degli italiani crede che gli immigrati facciano aumentare la criminalità, mentre il 63% li considera un peso per il nostro sistema di welfare. Solo il 23% degli italiani ritiene di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore di quella dei genitori, contro una media Ue del 30%, il 43% in Danimarca, il 41% in Svezia, il 33% in Germania. Il 67% guarda il futuro con paura o incertezza.

La delusione per lo sfiorire della ripresa e per l'atteso cambiamento miracoloso ha incattivito gli italiani. Vengono sdoganati i pregiudizi, anche quelli prima inconfessabili. Il 52% degli italiani, per esempio, è convinto che si fa di più per gli immigrati che per i propri connazionali, quota che raggiunge il 57% tra le persone con redditi bassi. Il 63% degli italiani vede in modo negativo l'immigrazione da Paesi non comunitari (contro una media Ue del 52%) e il 45% anche da quelli comunitari (rispetto al 29% media UE). I più ostili verso gli extracomunitari sono gli italiani più fragili: il 71% di chi ha più di 55 anni e il 78% dei disoccupati, mentre il dato scende al 23% tra gli imprenditori. Il 58% degli italiani pensa che gli immigrati sottraggano posti di lavoro ai nostri connazionali, e solo il 37% sottolinea il loro impatto favorevole sull'economia.

I consumi complessivi delle famiglie non sono ancora tornati ai livelli pre-crisi (-2,7% in termini reali nel 2017 rispetto al 2007), ma la spesa per i telefoni è più che triplicata nel decennio (+221,6%): nell'ultimo anno si sono spesi 23,7 miliardi di euro per cellulari, servizi di telefonia e traffico dati.

Sono preoccupanti anche i dati relativi agli astenuti alle ultime elezioni politiche, segnale di una sfiducia sempre più diffusa nella politica. La percentuale dell'area del non voto sul totale degli aventi diritto è salita dall'11,3% del 1968 al 23,5% del 1996, fino al 29,4% del 2018.

Altro tema rilevante è quello della sanità. È una convinzione diffusa che il rapporto dei cittadini con il Servizio sanitario sia fortemente differenziato a causa dell'incidenza di una serie di variabili: dalla territorialità dell'offerta alla condizione socio-economica, all'età delle persone. Il difficile accesso alla sanità genera costi aggiuntivi e una crescente sensazione di disuguaglianze e ingiustizie, con la convinzione che ognuno deve pensare a se stesso. Più della metà degli italiani (54,7%) pensa che in Italia le persone non abbiano le stesse opportunità di diagnosi e cure. Lo pensa il 58,3% dei residenti al Nord-Est, il 53,9% al Sud, il 54,1% al Centro e il 53,3% al Nord-Ovest. Addirittura ci sono oltre 39 punti percentuali di differenza nelle quote di soddisfatti tra il Sud e le isole e il Nord-Est, che registra il più alto livello di soddisfazione tra le macroaree territoriali. Emblematici sono i dati sul grado di soddisfazione rispetto al Servizio sanitario della propria Regione: il valore medio nazionale del 62,3% oscilla tra il 77% al Nord-Ovest, il 79,4% al Nord-Est, il 61,8% al Centro e il 40,6% al Sud e nelle isole.

Nella tutela della salute e nel rapporto con la sanità è sempre più diffuso il principio dell'autoregolazione della salute. Sono 49,4 milioni le persone che soffrono di piccoli disturbi (mal di schiena, mal di testa, ecc.). Il 73,4% degli italiani si è detto convinto che sia possibile curarsi da solo in tali casi (con un incremento del 9,3% rispetto al 2007). Il 56,5% ritiene che sia possibile curarsi autonomamente perché ognuno conosce i propri piccoli disturbi e le risposte adeguate, il 16,9% perché è il modo più rapido. Decisivo è il rapporto con i saperi esperti nell'autoregolazione della salute: nonostante la crescita del web (28%), i principali canali informativi degli italiani rimangono il medico di medicina generale (53,5%), il farmacista (32,2%) e il medico specialista (17,7%). Uno dei terreni su cui maggiormente si esprime l'autoregolazione della salute è quello del ricorso a farmaci da automedicazione: infatti, è la quasi totalità degli italiani a curarsi utilizzando farmaci senza obbligo di ricetta, acquistati liberamente in farmacia.

Il «fai da te» caratterizza anche il rapporto degli italiani con il sistema di welfare. Il 52,7% degli italiani non sa a chi rivolgersi in caso di un problema di welfare. Il 44,9% si è rivolto a familiari e amici che già avevano affrontato il problema, il 27,1% ha fatto ricorso all'aiuto pagato di società specializzate, il 24,8% ha rinunciato a risolvere un problema perché non è riuscito a capire a chi rivolgersi. A fronte del 51,5% di italiani convinti di poter affrontare i problemi da soli, il 48,5% invece non è in grado di affrontare autonomamente le difficoltà.

Il Rapporto conferma un altro dato da tempo ormai conclamato: le pensioni assolvano oggi a funzioni sociali più rilevanti rispetto a quella di pura tutela per la vecchiaia per cui erano storicamente nate e rappresentano un vero e proprio ammortizzatore sociale. La pensione riduce il rischio di povertà del 12,4% per le famiglie monogenitoriali, del 9,6% per le coppie con figli, del 6,8% per le persone sole, del 2,8% per le coppie senza figli. Circa il 50% delle famiglie italiane è formato o ha al suo interno un pensionato, per un totale di 12 milioni di nuclei. I pensionati che vivono soli sono il 27,8%, il 36,2% vive in coppia senza figli, il 18% in coppia con figli, l'8% è un genitore solo. Per il 63,3% delle famiglie i trasferimenti pensionistici sono pari ad oltre tre quarti del proprio reddito, per il 26,4% la pensione costituisce il totale del reddito familiare.

Questi solo alcuni dei temi affrontati nel corposo Rapporto del Censis, una fotografia del nostro Paese che impone una seria riflessione da parte di tutti gli attori socio-economici con responsabilità decisionali. In conclusione si ricorda, in questo senso, quella che dovrebbe essere la funzione della politica, la responsabilità della classe dirigente, il ruolo dell'establishment, ossia quella di proporre una prospettiva per il futuro. Serve una responsabilità politica che si misuri con la sfida di governare un complesso ecosistema di attori e processi.

11/12/2018

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