Censis: nel 2050 gli anziani saranno più di un terzo della popolazione e saranno più soli
Il 57° Rapporto sulla situazione sociale del Paese del Censis è un appuntamento annuale che offre un’interessante e chiara fotografia della nostra società.
Quest’anno il Censis utilizza il termine “sonnambuli” per descrivere gli italiani; alcuni processi economici e sociali largamente prevedibili e con un impatto forte per la tenuta del sistema sembrano rimossi dall’agenda collettiva del Paese, la società italiana sembra affetta da sonnambulismo e incapace di reagire.
I dati demografici, d’altronde, sono preoccupanti: nel 2050 l’Italia avrà 9,1 milioni di persone under65 in meno e un contestuale aumento di 4,6 milioni di persone con 65 anni e oltre (in particolare, +1,6 milioni con 85 anni e oltre). Ancora, si stimano quasi 8 milioni di persone in età attiva in meno, con un impatto inevitabile sul sistema produttivo e sulla nostra capacità di generare valore.
In questo quadro, gli italiani appaiono delusi e rassegnati. L’80,1% (l’84,1% tra i giovani) è convinto che l’Italia sia irrimediabilmente in declino; il 73,4% teme che i problemi strutturali irrisolti del nostro Paese provocheranno nei prossimi anni una crisi economica e sociale molto grave con povertà diffusa e violenza; il 73,8% ha paura che negli anni a venire non ci sarà un numero sufficiente di lavoratori per pagare le pensioni e il 69,2% pensa che non tutti potranno curarsi, perché la sanità pubblica non riuscirà a garantire prestazioni adeguate.
Nel secondo trimestre dell’anno il Pil ha registrato una variazione negativa (-0,4%), a cui è seguita la stagnazione nel terzo trimestre (0,0%) e un conseguente rallentamento dell’economia. Molte attese di rafforzamento del sistema produttivo si sono riversate sulle potenzialità del Pnrr, che secondo le stime raggiungerà alla fine del 2023 una percentuale di completamento pari al 50%, rispetto a una tabella di marcia che prevedeva il 74%.
Il rallentamento economico è favorito anche da una inversione del ciclo dell’occupazione: cresce il numero di occupati ma diminuiscono le ore lavorate. L’Italia rimane, comunque, all’ultimo posto nell’Unione europea per tasso di occupazione: il 60,1%, aumentato di 2 punti percentuali tra il 2020 e il 2022, ma ancora al di sotto del dato medio europeo (69,8%) di quasi 10 punti. Se nel nostro Paese si raggiungesse la media europea, avremmo circa 3,6 milioni di occupati in più.
Cambiano progressivamente e rapidamente le opinioni degli italiani in merito ad alcune questioni dirimenti che ancora non hanno riconoscimento legislativo. Il 74% si dice favorevole all’eutanasia, il 70,3% approva l’adozione di figli da parte dei single; il 65,6% si schiera a favore del matrimonio egualitario tra persone dello stesso sesso; il 72,5% è favorevole all’introduzione dello ius soli e il 76,8% è favorevole allo ius culturae.
Altro elemento sottolineato dal Rapporto è l’incomunicabilità generazionale, la distanza abissale tra i giovani di oggi e le generazioni che li hanno preceduti. I giovani sono pochi, nel 2050 i 18-34enni saranno poco più di 8 milioni, appena il 15,2% della popolazione, esprimono un leggero peso demografico, quindi inesorabilmente contano poco. E la grande maggioranza degli italiani riconosce che i giovani, in questo momento, sono la generazione più penalizzata di tutte: lo pensa il 57,3%, mentre il 30,8% considera danneggiato soprattutto chi oggi si trova nell’età di mezzo e l’11,9% pensa invece che siano lasciati indietro soprattutto gli anziani.
I giovani continuano ad emigrare. Non dimentichiamo che l’Italia continua a essere un Paese di emigrazione (5,9 milioni gli italiani attualmente residenti all’estero, pari al 10,1% dei residenti in Italia), più che di immigrazione (5 milioni gli stranieri residenti nel nostro Paese, pari all’8,6% dei residenti in Italia). Gli italiani che si sono stabiliti all’estero sono aumentati del 36,7% negli ultimi dieci anni (ovvero quasi 1,6 milioni in più). Nell’ultimo anno gli espatriati sono stati 82.014, di cui il 44% tra 18 e 34 anni (36.125 giovani) e aumenta anche il peso dei laureati sugli espatriati, passando dal 33,3% del 2018 al 45,7% del 2021.
Gli anziani rappresentano una quota sempre più rilevante della popolazione italiana, grazie all’aumento dell’aspettativa di vita che caratterizza il Paese ormai da anni (nel 2022, 84,8 anni per le donne e a 80,5 anni per gli uomini). Le persone con 65 anni e oltre (più di 14 milioni) rappresentano oggi il 24,1% della popolazione complessiva e sono in costante aumento: secondo lo scenario mediano delle proiezioni demografiche, nel 2050 saranno 4,6 milioni in più rispetto a oggi e peseranno per il 34,5% della popolazione totale. Mentre solo un terzo degli anziani di oggi pensa che sul piano economico stia vivendo una condizione peggiore di quella dei propri genitori, il 75,4% dei giovani tra 18 e 34 anni pensa che la propria vecchiaia sarà più problematica. È facile prevedere che gli anziani di domani saranno più soli: saranno sempre di più anziani senza figli. Il numero delle famiglie aumenterà proprio perché saranno di dimensioni più piccole: il numero medio dei componenti delle famiglie scenderà dai 2,31 del 2023 ai 2,15 nel 2040. Le coppie con figli diminuiranno fino a rappresentare nel 2040 solo il 25,8%. Aumenteranno le famiglie unipersonali fino a 9,7 milioni (37%). Tra di esse, quelle costituite da anziani nel 2040 diventeranno quasi il 60% (5,6 milioni). Gli anziani che vivono da soli saranno in prevalenza donne: se oggi, tra le donne che vivono da sole, il 63,6% ha più di 64 anni, nel 2040 si arriverà al 71,7%, contro il 40,4% di uomini anziani sul totale degli uomini soli.
Il costo della vita continua ad aumentare. I dati sui prezzi al consumo confermano il tendenziale riassorbimento dell’inflazione, sebbene restino ancora alti i livelli di varie categorie di beni. A settembre l’indice nazionale dei prezzi al consumo è del 5,3% (era il 7,6% a maggio), un valore che porta il livello dell’inflazione acquisita per il 2023 al 5,7%. Lievita quindi all’8,3% il carrello della spesa, per il quale il dato acquisito per il 2023 è al 9,5%. Due famiglie su tre prevedono che alla fine dell’anno i redditi familiari saranno uguali a quelli dell’anno precedente. Soltanto il 44,1% prevede di riuscire a mantenere gli stessi livelli di risparmio dell’anno passato. Il 48,5% teme invece di vedere i propri risparmi diminuire rispetto al 2022. Il 25,9% prevede un aumento della spesa per consumi, dovuta anche all’incremento dei prezzi.
Per quanto riguarda i pensionati, l’inflazione colpisce particolarmente il potere d’acquisto delle pensioni e dei risparmi. Se l’inflazione dovesse prolungarsi nel tempo, la preoccupazione sarebbe destinata a crescere perché le pensioni, nella migliore delle ipotesi, hanno un ritmo di incremento più lento della dinamica inflattiva e l’erosione del potere d’acquisto dei risparmi ne ridurrebbe la capacità di colmare il gap nel finanziamento delle spese. Il 65,3% degli anziani ritiene che la pensione percepita da sola non sia in grado di garantire il benessere nella terza e quarta età. L’84,6% dei longevi ritiene che per garantirsi una vecchiaia serena sia fondamentale investire i propri risparmi. Oggi il 41% degli anziani risparmia regolarmente e il 28% di tanto in tanto. Del resto, gli anziani spesso continuano a garantire un supporto economico a favore dei familiari e spesso rappresentano il polmone finanziario a tutela della rete familiare. Nell’ultimo anno lo ha fatto il 42% degli anziani. È chiaro che l’erosione del potere d’acquisto di pensioni e risparmi degli anziani generato dall’inflazione, protraendosi nel tempo, è destinato a rappresentare una minaccia rilevante per l’autonomia degli anziani e per il welfare familiare. D’altronde anche gli anziani hanno bisogno di aiuto: nel 2021 gli anziani con gravi limitazioni funzionali erano 1,9 milioni, il 13,7% del totale degli anziani e il 63,1% del totale delle persone con limitazioni in Italia. Secondo le stime, nel 2040 il 10,3% degli anziani continuerà ad avere problemi di disabilità.
La tutela dei redditi pensionistici e, anche, la buona allocazione del risparmio privato degli anziani attuali e degli attuali giovani adulti è un’esigenza vitale per l’economia e la società italiana, per continuare a garantire il benessere nell’età longeva e anche lo status sociale degli anziani, che è fatto di autonomia individuale e di un riconosciuto ruolo nelle reti di tutela.
In Italia sette famiglie su dieci (pari a 18,2 milioni) sono proprietarie della casa in cui vivono. Nelle regioni meridionali il 70,1% delle famiglie, in quelle centrali il 74,5%, al Nord il 69,7%. Sono le caratteristiche anagrafiche a determinare una netta differenza tra i proprietari e gli affittuari. Tra le famiglie formate dai più giovani (under 35) soli o in coppia si registra la minore quota di proprietari. Complessivamente, il 72,5% degli italiani (42,7 milioni) vive in una casa di proprietà. Nei grandi Paesi europei questa quota è nettamente inferiore: il 65,4% dei francesi, il 45,2% dei tedeschi. Più simili a noi greci e spagnoli: rispettivamente, 75,9% e 77,3%. Fatto 100 il valore delle spese riconducibili alla casa nel 2019, a un primo lieve calo nell’anno dell’inizio della pandemia (97,8) è seguita nel 2021 una nuova crescita (100,6). Nel 2022 si rafforza l’aumento in termini reali delle spese per la casa, in particolare per quanto riguarda mobili, elettrodomestici e manutenzione (+4,8% rispetto a tre anni prima).
Nel primo semestre 2023, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, si è osservato un aumento del 5,3% delle richieste di prestiti da parte delle famiglie. Per quanto riguarda i mutui, la riduzione del numero delle domande è pari al 22,4%. Il cambiamento nel quadro di riferimento del costo del denaro ha modificato il profilo di rischio di chi richiede un mutuo per l’acquisto della casa. L’indice di affidabilità delle famiglie a marzo di quest’anno era pari al 12,8% per il complesso delle famiglie, ma con una tendenza al ribasso rispetto a fine 2022 (13,6%) e a fine 2021 (14,8%).
In questo quadro generale nel quale emergono serie criticità, si rileva in tutta la sua emergenza il tema della sanità con un dato che esemplifica la situazione: il 79% degli italiani è molto preoccupato di non poter più contare sul Ssn e il 69,2% pensa che non tutti potranno curarsi, perché la sanità pubblica non riuscirà a garantire prestazioni adeguate.
Ancora, per il 75,8% degli italiani è diventato più difficile accedere alle prestazioni sanitarie nella propria regione a causa di liste di attesa sempre più lunghe; l’89,7% è convinto che le persone benestanti abbiano la possibilità di curarsi prima e meglio di quelle meno abbienti; il 71% dichiara che in caso di visite specialistiche necessarie o accertamenti sanitari urgenti è pronto a rivolgersi a strutture private pagando di tasca propria (al Sud la percentuale sale al 77,3%).
I motivi per il Censis sono evidenti, uno di questi il fatto che tra il 2012 e il 2019 la spesa sanitaria pubblica in rapporto al Pil è passata dal 6,7% al 6,4%, nel 2020 a causa del Covid è salita al 7,4% e poi è scesa di nuovo al 6,7% nel 2022. Dal confronto con altri paesi del UE emerge che nel periodo 2012-2019 in Italia la spesa sanitaria pubblica ha registrato un -0,4%, in Francia un +15%, in Germania un +16,4% e in Spagna un +7,7%. Negli anni 2019-2021, per effetto della pandemia, in Italia si è registrato un +6,7%, in Francia un +8,8%, in Germania un +16,6% e in Spagna un +13,5%. Secondo la Nadef, nei prossimi anni la spesa sanitaria pubblica italiana in rapporto al Pil diminuirà fino al 6,1% nel 2026.
Un altro fronte critico è il tasso di turnover (il rapporto tra assunti e cessati in un anno) del personale sanitario, pari a 90 per i medici e a 95 per gli infermieri. Data l’elevata età media, si stima che tra il 2022 e il 2027 andranno in pensione 29.000 medici dipendenti del Ssn e 21.000 infermieri. Sono numeri che confermano una fragilità che potrebbe determinare in futuro costi sociali elevati.
Per coloro che volessero approfondire l’argomento, nella pagina del Censis sono disponibili parti del Rapporto.