Pensioni, Quota 100 e nuova riforma del sistema previdenziale

Pensioni, Quota 100 e nuova riforma del sistema previdenziale
28/01/2019
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Pensioni, Quota 100 e nuova riforma del sistema previdenziale

Un'ulteriore riforma del sistema pensionistico italiano è annunciata dall'articolo 21 del ddl di Bilancio 2019; il comma 2) recita: “Al fine di dare attuazione a interventi in materia pensionistica finalizzati all'introduzione di ulteriori modalità di pensionamento anticipato e misure per incentivare l'assunzione di lavoratori giovani… è istituito un fondo di 6.700 milioni di euro per il 2019 e di 7.000 milioni di euro annui a decorrere dal 2020”.

Il “pacchetto pensioni” da tradurre in un emendamento alla manovra è pronto. E si regge su “quota 100” in versione ponte per i prossimi 3 anni, in vista dell'introduzione dal 2022-2023 di quota 41 per tutti.

Prima e durante il dibattito parlamentare su questa misura si è scatenato un lungo, e a volte tedioso, dibattito. Un giudizio di merito sarà comunque possibile solo dopo l'approvazione delle misure attuative. La notizia che ha tenuto campo è la cosiddetta “quota 100”, ossia la somma dell'età anagrafica di 62 anni e i 38 anni di versamenti contributivi. La “quota 100” si appresta a divenire un canale di pensionamento aggiuntivo rispetto alle attuali combinazioni previste dalla Legge Fornero, che al massimo saranno solo leggermente modificate. È questa la strada del Governo per attuare la “quota 100“ con un minimo di 62 anni e 38 anni di contributi.

Pertanto dal prossimo anno i lavoratori iscritti all'Inps avranno tre vie principali per accedere alla pensione a seconda di quale requisito maturi prima. In particolare, considerando il prossimo adeguamento alla speranza di vita di cinque mesi, le situazioni dovrebbero essere quelle di seguito indicate.

-Per gli assicurati nel sistema misto (cioè in possesso di contribuzione al 31/12/1995): 1) pensione di vecchiaia a 67 anni e 20 anni di contributi: 2) confermato invece in via strutturale il non adeguamento alla speranza di vita dei requisiti per l'uscita anticipata con 41 e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini; dall'anno prossimo scattano solo i 67 anni per la pensione di vecchiaia, requisito destinato a rimanere fino al 2023 se saranno confermate le attuali stime sulla speranza di vita, che nel prossimo triennio prevedono un'inversione di tendenza e quindi un calo e non più un aumento dell'aspettativa di vita.

-Per gli assicurati nel sistema interamente contributivo (cioè privi di contribuzione al 31.12.1995); 1) pensione di vecchiaia a 67 anni e 20 anni di contributi unitamente a un assegno con un importo non inferiore a 1,5 volte il valore dell'assegno sociale; 2) pensione di vecchiaia con 71 anni e 5 anni di contributi effettivi; 3) pensione anticipata con 64 anni e 20 anni di contribuzione effettiva a condizione che l'importo soglia non risulti inferiore a 2,8 volte il valore dell'assegno sociale; 4) pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 3 mesi le donne) a prescindere dall'età anagrafica; 5) pensione con 62 anni e 38 anni di contributi “quota 100”. Per i contributivi puri la “quota 100” è però solo un esercizio ipotetico; non si può aver raggiunto il requisito contributivo richiesto considerando che l'iscrizione non può essere datata prima del 1996.

Per l'accesso alla pensione con la “quota 100” potrebbero essere inserite quattro finestre fisse di accesso ogni anno per i dipendenti privati (aprile, luglio, ottobre e gennaio a seconda della data di maturazione dei requisiti); due finestre per i dipendenti pubblici, una finestra per i dipendenti della scuola.

Oltre a questi canali restano in vigore gli scivoli pensionistici creati e/o rafforzati in questi ultimi anni. In particolare proseguono le agevolazioni per i lavori usuranti (uscita a 63 anni e 7 mesi unitamente a un minimo di 35 anni di contributi e perfezionamento del quorum 97,6, senza applicazione del prossimo scatto alla ADV ̶ aspettativa di vita ̶ ) pensione con 41 anni di contributi per i lavoratori precoci nel sistema misto in particolari condizioni meritevoli di tutela (disoccupati, caregivers, invalidi almeno al 74%, addetti a mansioni gravose o usuranti; da chiarire anche qui l'applicazione dell'ADV); l'Ape volontario (cioè il prestito pensionistico per i nati entro il luglio del 1956 con almeno 20 anni di contributi, la misura scade il prossimo 31 dicembre 2019); l'assegno di esodo Fornero (anticipo pagato dall'azienda) sino a 7 anni sull'età di pensionamento); gli assegni straordinari di solidarietà pagati dai fondi esuberi.

A questi canali dal prossimo anno si aggiungerebbe, per un anno, la proroga dell'opzione donna (uscita a 57 anni, 58 le autonome, unitamente a 35 anni di contributi per le donne con assegno interamente calcolato con le regole contributive) e la proroga di un anno dell'Ape sociale cioè l'uscita a 63 anni e 30/36 anni di contributi in particolari condizioni meritevoli di tutela (disoccupati, caregivers, invalidi almeno al 74%, addetti a mansioni gravose) che è prevista in scadenza il 31 dicembre 2018 e che sarà prorogata fino a dicembre 2019. Resterebbe pure salva la facoltà di cumulare gratuitamente la contribuzione non coincidente temporalmente (per es., lavoro dipendente e gestione separata o con le casse professionali) anche se resta da confermare se l'utilizzo sarà esteso per integrare i 38 anni di versamenti per la “quota 100”. Nulla dovrebbe essere mutato con riferimento al comparto difesa e sicurezza che già mantiene requisiti più favorevoli rispetto a quelli esposti.

Bisogna ricordare che dagli anni Novanta è stata varata una serie di riforme in campo previdenziale dettate da esigenze nazionali ed europee, dal desiderio di armonizzazioni in un campo apparso spesso come una giungla, dalla trasformazione del mercato del lavoro, dalle variazioni demografiche.

Le esigenze di riforma del sistema pensionistico erano già evidenti da diversi anni, tuttavia nessuna riforma è stata portata a termine per le forti e disparate resistenze. Solo la crisi finanziaria e monetaria del 2011, con il precipitare della situazione economica e i vincoli di bilancio imposti dagli accordi della U.E. obbligarono ad approntare la riforma cosiddetta “Fornero”.

L'esigenza di riforma derivava soprattutto dagli squilibri finanziari del sistema. Si parlò di sostenibilità addirittura nel breve periodo, con rischi di default.

Il sistema pensionistico italiano era, infatti, caratterizzato da numerose sperequazioni che contribuivano agli squilibri del sistema. Le differenze nelle prestazioni esistevano non solo tra lavoratori dipendenti pubblici e privati ma anche all'interno di queste due categorie nonché tra dipendenti e lavoratori autonomi, e riguardavano i limiti di età necessari per il pensionamento, il periodo retributivo utile per il calcolo della pensione, le aliquote di rendimento e le aliquote contributive. Tutto questo portava a tassi di sostituzione diversi tra lavoratori a parità di retribuzione e di carriera lavorativa e ad ancora maggiori diversità nei tassi di rendimento interni.

Attualmente l'andata in pensione per vecchiaia deve avere come requisiti 66 anni e 7 mesi per gli uomini e per le donne lavoratrici dipendenti.

Per anzianità occorrono 41 anni e 10 mesi di contribuzione per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini.

L'anzianità contributiva è di 20 anni minimo.

Ora l'attuale Governo intende accelerare sulle vie di uscita dal mercato del lavoro al fine di garantire un ricambio generazionale. Parlano, addirittura, di sostituire un'uscita con tre nuove assunzioni. Già qualche decennio fa qualcuno promise 1.000.000 di posti di lavoro in più. E sappiamo tutti come andò a finire.

Secondo i dati INPS i lavoratori che potrebbero beneficiare nel 2019 della “quota 100” sarebbero 475.000. La platea è composta da lavoratori con i requisiti della vecchiaia e dell'anzianità (dipendenti sia pubblici sia privati, lavoratori precoci ecc.). Circa il 70% dei futuri pensionati è rappresentato da uomini, in conseguenza di una maggiore attività lavorativa.

Secondo l'Ufficio Parlamentare di Bilancio la sola “quota 100” aumenterà di circa 13 miliardi di euro la spesa pensionistica.

La prima questione da sollevare è che ̶ considerando che il calcolo delle future pensioni è correlato strettamente ai contributi versati nell'intera vita lavorativa e la presenza nel mercato del lavoro di numerose figure di lavoratori precari e/o bassa contribuzione ̶ è possibile prevedere nel futuro il sorgere di una “emergenza povertà” per una parte considerevole di pensionati. Quanti nel futuro potranno raggiungere 38 anni di contributi?

Per questo CGIL – CISL – UIL ritengono che “quota 100” sia positiva per l'idea di flessibilità in uscita, chiedono comunque che non penalizzi le donne, i lavoratori discontinui e chi svolge lavori gravosi.

Bisogna, aldilà di “quota 100”, rendere strutturale l'Ape sociale, che prevedeva bastassero 30/36 anni di contributi e 63 anni di età. I sindacati sono favorevoli anche alla quota 41 anni di contribuzione, alla proroga dell'opzione donna e al blocco del meccanismo statistico dell'aspettativa di vita.

Nel frattempo gli ultimi esodati si chiedono se potranno mettere finalmente fine a un calvario che li accompagna da 7 anni grazie al varo della nuova e definitiva salvaguardia.

“Quota 100” è un'opzione lasciata ai lavoratori. Sicuramente coloro che vi accederanno faranno dei calcoli sui pro e i contro di tale scelta. Un fattore determinante sarà il tasso di sostituzione, ossia il rapporto tra reddito da pensione e reddito da lavoro. Le riforme pensionistiche precedenti, introducendo il sistema contributivo, sono intervenute uniformando nelle varie gestioni il periodo utile per la pensione, la retribuzione pensionabile, le aliquote contributive e quelle di rendimento.

Molti dei possibili lavoratori rientranti nella “quota 100” beneficeranno del sistema misto, ossia hanno maturato prima del 1° gennaio 1996 un'anzianità contributiva di almeno 18 anni che verrà calcolata col sistema retributivo e gli anni successivi col sistema contributivo. Negli anni successivi aumenterà quindi, progressivamente, il periodo calcolato con il sistema contributivo. Si registrerà pertanto una progressiva diminuzione del tasso di sostituzione. La diminuzione dei tassi di sostituzione è sensibile ed è maggiore quanto minore è l'età anagrafica del pensionamento.

Un secondo fattore del quale si dovrà tenere conto è se l'apparato legislativo che introdurrà e realizzerà l'uscita anticipata conterrà penalizzazioni quali il divieto di cumulo flessibile tra reddito da pensione e quello da lavoro, finestre di uscita, il valore o meno dei contributi figurativi, la declinazione dell'Opzione Donna.

L'uscita anticipata dal lavoro per chi il prossimo anno avrà raggiunto il doppio requisito di 62 anni e 38 di contribuzione comporterà il divieto di cumulo tra pensione e reddito da lavoro per chi anticiperà il ritiro. Non c'è più una soglia fissa (36 mesi secondo l'ultima ipotesi circolata) ma il Governo, d'intesa con Inps avrebbe deciso una soglia variabile. Il meccanismo è semplice: chi anticiperà la pensione di un anno non potrà cumulare l'assegno con un reddito da lavoro per i successivi 12 mesi, per chi esce due anni prima il divieto sarà di 24 mesi, con tre anni di 36 mesi, con quattro anni di 48 mesi, fino ad arrivare a cinque anni di anticipo e un pari tempo di divieto di cumulo.

Attualmente nelle norme previdenziali sono contenuti criteri di disincentivi sull'uscita anticipata: a ogni anno di anticipo di ritiro dal lavoro, in base ai minori contributi versati, si ha un minore importo pensionistico. La riduzione è crescente all'aumentare degli anni di anticipo rispetto a quanto sarà penalizzato il reddito pensionistico percepito. Resterà questa forma o cambierà?

Suscita infine preoccupazione che in tutti i dibattiti e ipotesi di realizzazione di questa revisione pensionistica non sia stato mai affrontato il problema della indicizzazione delle pensioni.

Il problema dell'adeguatezza delle pensioni deve essere esaminato non solo al momento del pensionamento attraverso il tasso di sostituzione, ma anche negli anni successivi al pensionamento verificando nel tempo il rapporto tra il valore della pensione e quello, per esempio, della retribuzione media.

Quest'ultima infatti, nel medio-periodo, non solo cresce in base all'indice dei prezzi, ma usufruisce generalmente anche di incrementi rapportati alla crescita della produttività. I lavoratori partecipano in questo modo a una redistribuzione dell'incremento reale della ricchezza nazionale.

Per le pensioni questo non accade in quanto, con la riforma del 1992, è stata limitata la loro rivalutazione annua alla sola variazione dei prezzi di consumo. L'indicizzazione delle pensioni ai prezzi, inoltre, è totale solo per le pensioni non superiori a tre volte l'integrazione al minimo, mentre per le parti eccedenti questo valore la rivalutazione è parziale.

Il risultato di queste disposizioni è che nel tempo successivo al pensionamento è molto probabile che muti il rapporto tra il valore della pensione, rivalutata solo all'indice di inflazione prezzi e quello della retribuzione che cresce anche in base alla produttività del sistema.

I valori del tasso di sostituzione indicano, cioè, solo il rapporto tra la pensione e la retribuzione al momento del pensionamento, mentre nel periodo successivo questo rapporto è destinato a ridursi.

È importante per la Fnp-CISL che l'adeguamento delle pensioni salvaguardi il potere d'acquisto degli anziani, ma che la stessa cosiddetta “pensione di cittadinanza” eviti la commistione tra previdenza ed assistenza. È giusto garantire a tutti un assegno sociale contro il rischio di povertà ed esclusione sociale, ma si tenga conto delle pensioni, frutto di contributi e quindi salario differito.

Lo scorso 10 dicembre i sindacati Confederali hanno incontrato “per la prima volta” il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e come sostenuto dalla Segreteria Generale della CISL Anna Maria Furlan “è arrivato un cambio di passo importante, significativo. È stato un incontro molto approfondito e il Presidente Conte ha ascoltato la nostra piattaforma e ha avuto un'alta attenzione per le nostre proposte.

Ha assunto l'impegno ad avviare un'interlocuzione più frequente con le organizzazioni sindacali, un modo di condividere i progetti.

La revisione della previdenza “quota 100” va bene se è un punto di partenza, ma è ovvio che è una risposta parziale. Bisogna costruire anche una pensione di garanzia per i giovani e attivare un segnale chiaro alle donne, riconoscendo un anno di contributi per ogni figlio. La maternità è un bene comune per il Paese”.

Per l'anno 2019 la spesa in più per finanziare “quota 100” si aggira intorno a 4,7 miliardi per poi salire a 8 nel 2020 e 7 nel 2021, secondo quanto definito nella mediazione tra Governo e Commissione Europea. La platea dei beneficiari dovrebbe ridursi (si parla di 300-350mila lavoratori) con un'adesione non superiore all'85% degli aventi diritto. Sempre secondo le previsioni governative che non collimano con quelle dell'Inps la crescita della spesa dovrebbe essere graduata al sistema di posticipo e disincentivi che accompagnano la nuova misura, sperimentale per 3 anni, con la prospettiva, per ora solo dichiarata, di un requisito minimo di anticipo a prescindere dall'età a 41 anni entro la fine della legislatura.


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