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Un pensionato su 2 e un lavoratore su 3 sono caregiver familiari

19/03/2025
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Un pensionato su 2 e un lavoratore su 3 sono caregiver familiari

Cisl: «È tempo che escano dall’invisibilità e diventino soggetti attivi e riconosciuti del welfare»

Un pensionato su due (49,8%) si dichiara caregiver, mentre lo fa più di un lavoratore su 3 (37,4%), e sono perlopiù donne: 6 su 10 si occupano di un genitore, uno su 10 è caregiver di due persone contemporaneamente. L’82% si sente abbandonato dalle istituzioni, dalle quali ritiene di ricevere poco o nessun sostegno. E anche se il 70% afferma di aver bisogno di aiuto per svolgere l’attività di caregiver, generalmente fa tutto da solo: il 67% non ha altre forme di supporto come assistenti familiari (badanti) o assistenza domiciliare integrata (ADI). Tra i lavoratori, solo il 10% può contare sul welfare aziendale o su altre prerogative contrattuali, e il 34,8% afferma che prendersi cura di un familiare non autosufficiente impatta significativamente sulla vita professionale. A monte, il 55,4% ha dovuto lasciare il lavoro o lo studio per fare il caregiver. E ancora: il 52,8% dei caregiver ritiene pesante o molto pesante il proprio ruolo, con il rischio di ammalarsi a sua volta: il 45,8% dichiara peggioramenti nella propria salute fisica, e il 57% nella propria salute mentale. Queste percentuali sono l’estrema sintesi del questionario “Caregiver in Veneto: avere cura di chi ha cura”, che Fnp Veneto e Cisl Veneto hanno diffuso nei mesi scorsi, nel caso della popolazione attiva grazie al Caf Cisl: Fondazione Corazzin (il centro studi Cisl Veneto) ha potuto quindi elaborare i dati complessivi su 2.163 risposte: 1.687 lavoratori (indagine gennaio 2025) e 476 pensionati (indagine aprile 2024).

Perché una ricerca sui caregiver

La ricerca nasce inizialmente dalla volontà di Fnp Veneto di indagare la realtà dei caregiver familiari, nell’ambito del continuo lavoro di approfondimento sulla gestione della non autosufficienza degli anziani. Dato, infatti, che i Centri servizi anziani (le cosiddette case di riposo) offrono in Veneto un posto letto a circa il 10% dei 328mila over 65 non autosufficienti, è parso necessario analizzare meglio cosa avvenga fuori dalla gestione istituzionalizzata. Cisl Veneto ha sposato questo impegno e ampliato l’analisi alla popolazione attiva, allargando così lo squarcio. La ricerca complessiva restituisce pertanto un quadro completo dei bisogni sociali legati alla gestione della non autosufficienza in Veneto, un grido d’aiuto comune a lavoratori e pensionati, che si ritrovano a essere caregiver familiari con il primo ostacolo di non saper dove “sbattere la testa”, da cui scaturiscono gli altri. Grido d’aiuto che, peraltro, non riguarda prendersi cura solo di anziani non autosufficienti, seppur questi costituiscono e costituiranno i maggiori beneficiari di questa assistenza dato l’andamento demografico: nel 2042 il 10,1% dei veneti avrà più di 80 anni (fascia in cui avviene più frequentemente la perdita di autonomia), mentre oggi i cosiddetti “grandi anziani” sono il 7,9% della popolazione, e agli inizi del millennio erano il 3,7%.

La disabilità e la non autosufficienza hanno diverse forme. Si può nascere con una disabilità, ci può essere un evento improvviso che la determina (disabilità acquisita) o si può sviluppare nel processo di invecchiamento. Il comune denominatore è che essa ricade in primo luogo sulle famiglie. I caregiver familiari oggi sono i grandi invisibili del welfare perché, al momento, l’unica definizione che li riguarda è quella scritta nella Legge di Bilancio del 2018 che, sostanzialmente, parla di assistenza gratuita e volontaria a un familiare non autosufficiente riconosciuto invalido. In base a questa definizione, vengono erogate delle indennità: sono soldi del Fondo nazionale per la non autosufficienza ripartiti per le Regioni, che poi li distribuiscono generalmente con bandi. Ma tutelare i caregiver, cioè aver cura di chi prende cura, va oltre la mera erogazione di sostegni economici, come dimostra la ricerca promossa da Cisl.

Dal vuoto normativo alle proposte

Se a livello nazionale una legge quadro sui caregiver è prevista nell’ambito della Legge Delega Anziani (legge 33/2023), che fa parte dei provvedimenti inclusi nella Missione 5 – Inclusione e coesione del PNRR, a livello regionale il Veneto ha visto nei giorni scorsi approdare in V Commissione due proposte di legge regionale.

«Non abbiamo paura di affermare che questo passaggio, seppur iniziale, sia merito anche del nostro lavoro di studio e di sensibilizzazione iniziato più di un anno fa», commenta Tina Cupani, segretaria generale Fnp Veneto. «È ora che anche il Veneto affronti con determinazione questo tema, dando risponde concrete a migliaia di caregiver che quotidianamente dedicano il loro tempo ai loro cari con un riconoscimento pressoché nullo. Confidiamo che si arrivi all’approvazione del testo prima della fine della legislatura: noi siamo pronti a fare la nostra parte». I pensionati Cisl sottolineano che già undici regioni si sono dotate di una normativa, tra cui due a noi confinanti e con sistemi sociosanitari simili: l’Emilia-Romagna è stata la prima ad approvare una legge regionale nel 2014, e il Friuli-Venezia Giulia ha scritto recentemente una di quelle più avanzate. «Il senso di abbandono espresso dai caregiver familiari, rilevato dalla nostra ricerca, nasce proprio dall’assenza di un quadro normativo», continua Cupani, «con una legge, si può finalmente fare un censimento dei caregiver familiari: sapere chi sono e quanti sono, e far uscire dall’ombra coloro che sono di fatto caregiver ma non sanno di esserlo. Si possono analizzare i loro bisogni e programmare servizi, monitorandoli. Con una legge, si garantiscono equità e trasparenza sia nell’accesso a questi servizi sia alle risorse. Quello che manca ora è dare un percorso chiaro a chi si trova in una condizione di bisogno».

«Sono temi che impattano direttamente sui diritti dei lavoratori, la sostenibilità del welfare e la qualità della vita delle famiglie. Perché molti lavoratori devono affrontare la difficile sfida di conciliare il lavoro con la cura di un familiare – evidenzia Stefania Botton, segretaria di Cisl Veneto con deleghe alle Politiche del sociosanitario e alle Politiche della contrattazione sociale . L’assenza di misure di sostegno adeguate porta a stress, assenteismo, riduzione della presenza al lavoro e, in alcuni casi, costringe addirittura al suo abbandono, con una perdita di produttività per le aziende e una penalizzazione soprattutto per le donne, che sono la maggioranza dei caregiver. Il sindacato ha il compito di tutelare i lavoratori e garantire strumenti come il lavoro agile, il part-time reversibile, permessi retribuiti e il diritto alla disconnessione per chi assiste familiari fragili. Per questo porteremo le nostre proposte anche all’interno delle aziende con la contrattazione di secondo livello, per far sì che le imprese diventino leve fondamentali di cambiamento attraverso un welfare generativo, con permessi aggiuntivi retribuiti o congedi allargati, voucher per assistenza domiciliare, convenzioni con strutture residenziali, sostegno alla flessibilità lavorativa per chi ha carichi di cura». E sul fronte delle politiche pubbliche Botton aggiunge: «Per la sua complessità, la questione dell’assistenza alla non autosufficienza non può essere affrontata solo con bonus una tantum, ma deve prevedere un sistema globale di interventi strutturali. Ciò potrà essere consentito dall’avvio degli Ats, che dovranno garantire i LEPS socioassistenziali in modo omogeneo sul territorio veneto».

Sintesi della ricerca “Caregiver in Veneto: avere cura di chi ha cura”

Chi sono i caregiver

Un pensionato su due (49,8%) si dichiara caregiver, mentre lo fa più di un lavoratore su 3 (37,4%), e sono perlopiù donne. La grande maggioranza dei caregiver si occupa di una persona, ma è da segnalare che più di un caregiver su 10 (15,3% pensionati e 18,7% attivi) si prende cura di due persone. L’impegno “quantitativo” evidenzia analogie e differenze in ragione dell’età: se il 28,8% (27,9% pensionati, 29% attivi) afferma di dedicare a questa attività tra le 10 e le 20 ore settimanali, la percentuale che dedica meno di 10 ore settimanali è 24% tra gli attivi e 15,8% pensionati (media del 22,2%). Fare il caregiver diventa un “lavoro” a tempo pieno, con più di 40 ore settimanali, per il 16,1% dei rispondenti con la netta differenza tra attivi (14,1%) e pensionati (22,9%).

La figura maggiormente assistita è un genitore, indicata da sei rispondenti su dieci con poca differenza tra lavoratori (61,8%) e pensionati (59,7%). Gli altri familiari che mediamente impegnano i caregiver sono i figli (11,9%), altri parenti come zii (9,2%), il coniuge o partner (8%) e i suoceri (4,3%), con percentuali che differiscono sensibilmente tra lavoratori e pensionati, verosimilmente anche qui in ragione dell’età. Si occupa infatti dei figli più di lavoratore su 10 (13,5%), ma il 6% dei pensionati; di altri parenti il 9,7% degli attivi e il 7,8% dei pensionati; del coniuge il 6% degli attivi e il 15,1% dei pensionati; simile invece la percentuale che si prende cura dei suoceri: 4,4% degli attivi e 4,3% dei pensionati.

Il sostegno: istituzioni e aziende

Il 43,6% dei caregiver dice di sentirsi scarsamente supportato dalle istituzioni, e un ulteriore 38,4% afferma di non ricevere alcun supporto. Ciò si collega anche al fatto di poter contare su aiuti esterni, pubblici o privati: il 67% dei rispondenti dichiara di non avvalersi di un’assistente familiare o dell’ADI, e l’84,7% afferma di non appoggiarsi a nessun tipo di rete sociale (tipicamente le associazioni di volontariato). Tra i lavoratori, il 10% afferma di poter contare su alcuni strumenti previsti dal contratto integrativo o dal welfare aziendale (permessi, flessibilità di orario etc.); il 46,8% dice che questi strumenti non sono presenti, ma è significativo che il 27,6% non sappia se possa o meno usufruire di una qualche agevolazione in azienda. Non appare, quindi, strano che il 55,4% dei rispondenti ha detto di aver lasciato in passato lo studio o il lavoro per diventare caregiver.

Impatto sulla salute

Il carico emotivo e fisico di essere un caregiver familiare è innegabile. Se il 42,8% dice che il carico è sopportabile, il 52,8% è dell’opinione opposta: il 36,8% lo considera pesante, il 16% lo giudica molto pesante. L’impatto del ruolo di caregiver sulla salute fisica e psicologica dei rispondenti è un aspetto particolarmente rilevante dell’indagine: il 50% dichiara di aver subito un impatto negativo sulla salute fisica, ma c’è un 20% che, tuttavia, dichiara di non essere in grado di valutarlo. Diversa è la valutazione dell’impatto sulla salute psicologica e sul benessere emotivo. Il 57% dei rispondenti dichiara un impatto negativo sulla propria salute mentale, e la percentuale degli incerti scende al 15%. Questo dato evidenzia come il peso emotivo dell’assistenza sia spesso più gravoso dell’impatto fisico, aumentando i livelli di stress e il rischio di affaticamento psicologico.

 


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